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Si chiama FIRE- FunctIonal assessment in Elderly MI patients (ovvero "Rivascolarizzazione guidata dalla fisiologia coronarica in pazienti anziani con infarto") ed è lo studio promosso dall’Unità Operativa di Cardiologia dell’Ospedale di Cona (Fe), diretta dal prof. Gabriele Guardigli, che rivoluzionerà l’approccio terapeutico nei confronti dell’infarto miocardico nelle persone anziane.
E’ giusto trattare l’infarto miocardico su persone anziane allo stesso modo in cui si tratta su quelle più giovani? Se lo sono chiesti i professionisti dell’Unità Operativa di Cardiologia dell’Ospedale di Cona, che hanno ideato e condotto uno studio clinico che ha coinvolto 1.445 pazienti con almeno 75 anni di età, ricoverati per infarto miocardico acuto e malattia coronarica multivasale. Studio durato complessivamente 5 anni, che ha interessato 30 centri tra Italia, Spagna e Polonia e il cui maggior contributo è arrivato dalla sanità pubblica dell’Emilia-Romagna, visto che sono stati coinvolti l’ospedale Maggiore di Bologna e quelli di Reggio Emilia, Modena (Baggiovara), Rimini e Ravenna.
I dati usciti dalla ricerca sono stati tutti a favore di una strategia di rivascolarizzazione completa preventiva.
I risultati di FIRE sono stati presentati dal dott. Simone Biscaglia della Cardiologia dell’Ospedale S. Anna di Ferrara il 26 agosto al congresso ESC 2023 di Amsterdam, che riunisce ogni anno in una città europea i cardiologi di tutto il mondo, e sono stati contemporaneamente pubblicati sulla prestigiosa rivista di medicina “New England Journal of Medicine”.
“Questo studio – sottolinea l’assessore regionale alle Politiche per la salute, Raffaele Donini- conferma il ruolo della ricerca in Emilia-Romagna. Inoltre, i risultati ottenuti sono anche il frutto di un lavoro di rete che ha messo insieme le professionalità di alcuni centri della nostra sanità pubblica. Un lavoro di squadra che premia le nostre eccellenze impegnate a migliorare la qualità della vita e delle cure dei nostri cittadini”.
“Lo studio di cui Ferrara è stata capofila, e i riconoscimenti che ha ricevuto, dimostrano l’importanza di affiancare la ricerca alla cura e assistenza dei pazienti – commenta la dottoressa Monica Calamai, Direttrice delle Aziende sanitarie ferraresi -. Con il processo di unificazione che stiamo portando avanti, questo approccio potrà essere sempre più applicato, con risultati importanti sulla cura e l’innovazione delle terapie e prestazioni che verranno erogate. Ringrazio i professionisti che hanno promosso e condotto lo studio per la competenza e passione che hanno messo in campo”.
Il contesto
La Cardiologia dell’ospedale di Cona ha ideato e condotto uno studio clinico randomizzato per colmare un “buco di informazione clinica”. Sperimentatore principale è stato il dott. Simone Biscaglia della Cardiologia dell’Ospedale S. Anna di Ferrara che ha coordinato un gruppo di professionisti italiani, spagnoli e polacchi, arrivando ad arruolare 1.445 pazienti con almeno 75 anni di età, ricoverati per infarto miocardico acuto e malattia coronarica multivasale.
Infatti, sebbene si osservi un costante e graduale invecchiamento della popolazione e sempre più persone anziane sono ricoverate in ospedale con patologie potenzialmente fatali - come l’infarto miocardico acuto - gli studi focalizzati sui pazienti anziani e sul loro trattamento ottimale sono pochi. Pertanto, nella pratica clinica quotidiana i medici spesso si trovavano a curare pazienti anziani e fragili con informazioni ricavate da studi che avevano arruolato pazienti con 20 anni di meno. Non fa eccezione il trattamento ottimale dei pazienti con infarto miocardico acuto. Mentre è dimostrato che trattare con angioplastica coronarica tutte le lesioni presenti nelle coronarie (i 3 piccoli vasi che portano il sangue e quindi ossigeno e nutrimento al cuore) del paziente più giovane (età media 60-65 anni) con infarto miocardico è associato a una prognosi migliore, non era noto se lo stesso approccio fosse utile in pazienti più anziani. I pazienti anziani sono più soggetti a complicanze sia durante l’intervento di angioplastica, sia durante la terapia farmacologica che è necessaria dopo l’impianto di stent. Quindi non si avevano dati certi che un trattamento estensivo, e non limitato solo alla lesione responsabile dell’infarto, fosse vantaggioso e protettivo come per i pazienti più giovani.
La metodologia
Lo studio è stato reso possibile grazie alla stretta collaborazione tra entità del territorio ferrarese, ovvero il Consorzio Futuro in Ricerca, l'Università degli studi di Ferrara e l’Azienda Ospedaliero - Universitaria di Ferrara. I primi pazienti sono stati arruolati nel luglio 2019 e, nonostante i difficili anni della pandemia, nell’ottobre 201 è stato raggiunto il numero di pazienti previsto. Dopo che l’ultimo paziente ha completato il follow-up minimo di un anno, si è iniziato a lavorare all’interpretazione dei dati. Uno staff di data manager, coordinato dalle dott.sse Veronica Lodolini, Martina Viola, Elisa Mosele dell’Ospedale di Cona, ha gestito la mole di dati provenienti da centri italiani, spagnoli e polacchi, garantendo la qualità dei dati e la loro omogeneità, in modo tale che un team di statistici indipendenti potesse poi eseguire le analisi statistiche.
Lo studio
La ricerca è stata focalizzata su pazienti con almeno 75 anni ricoverati in ospedale per infarto miocardico acuto. Questi pazienti dovevano avere - alla coronarografia che si esegue di routine a tutti i pazienti con infarto - una malattia coronarica multivasale, ovvero una lesione che era responsabile dell’evento acuto e altre lesioni già presenti ma che ancora non avevano dato segno di sé. Lo studio confrontava due strategie. La prima era trattare con l’angioplastica solo la lesione responsabile dell’infarto, mentre la seconda prevedeva di trattare la lesione responsabile dell’infarto e preventivamente anche tutte le altre lesioni in grado di generare ischemia, ovvero sofferenza, nel cuore.
I dati usciti dalla ricerca sono stati tutti a favore di una strategia di rivascolarizzazione completa preventiva. L’obiettivo primario dello studio (morte, reinfarto, stroke e necessità di ulteriore angioplastica) è stato ridotto del 27%. Questo significa che trattando 19 pazienti si riesce ad evitare uno di questi eventi. Inoltre, la strategia di rivascolarizzazione completa ha ridotto del 36% il rischio di morte per causa cardiovascolare e reinfarto. Tutto questo vantaggio era ottenuto senza aumentare il rischio di infarto durante le procedure, insufficienza renale da mezzo di contrasto o altre complicanze quali l’ictus.
Dicono i professionisti
“Lo studio – riassume il dottor Biscaglia – ha richiesto tra ideazione, autorizzazione, attivazione centri, arruolamento pazienti e follow-up oltre 5 anni di lavoro. Abbiamo collaborato con oltre 30 centri tra Italia, Spagna e Polonia, il tutto coordinato proprio da Ferrara. Lo studio ha dimostrato, dato inatteso da molti colleghi che sono rimasti sorpresi all’anteprima dei dati forniti ad Amsterdam, che una strategia di rivascolarizzazione completa è vantaggiosa anche in pazienti anziani. Addirittura, abbiamo dimostrato che è in grado di ridurre già a un anno il rischio non solo di recidiva di infarto miocardico, ma anche di morte per cause cardiovascolari. Questo dato è sorprendente. Infatti, i pazienti anziani colpiti da infarto miocardico purtroppo hanno ancora un rischio di mortalità alto a 1 anno dall’infarto, ma una angioplastica coronarica eseguita con tecniche moderne, stent di ultima generazione e su tutte le lesioni che possono indurre ischemia al cuore è capace di ridurre la mortalità e il rischio di recidive”.
“Uno studio del genere – commenta il professor Gianluca Campo, responsabile dello studio clinico insieme a Biscaglia – è una grande vittoria per il sistema sanitario pubblico. Il cuore dello studio è stato l’Emilia-Romagna, con molti pazienti arruolati presso le cardiologie di Bologna Maggiore (dottor Valerio Lanzilotti e dottor Gianni Casella), Reggio Emilia (dottor Vincenzo Guiducci e dottor Alessandro Navazio), Modena Baggiovara (dottor Marco Ruozzi e dottor Paolo Magnavacchi), Rimini (dottoressa Mila Menozzi e dottor Andrea Santarelli) e Ravenna (dottor Luca Fileti e dottor Andrea Rubboli). Queste cardiologie, unendosi con passione, hanno generato un’evidenza unica nel suo genere che modificherà le linee guida internazionali e sarà un esempio per altre collaborazioni future su tematiche scomode ma di grande impatto per la salute dei pazienti più deboli e fragili che solo un sistema universalistico può affrontare e gestire”.
"Come Direttore della Cardiologia di Ferrara - commenta il professor Gabriele Guardigli - sono particolarmente fiero che nello studio FIRE si sia messo al centro il paziente. Lo studio non promuove uno stent o un farmaco, ma si occupa di pazienti che spesso sono trattati con dubbi e difficoltà nelle cardiologie di tutto il mondo. Lo studio fin dal principio è stato condotto per dare una risposta che aiuti i pazienti più deboli e permetta loro di ricevere il trattamento più giusto e corretto. Ora i medici di tutto il mondo sanno che ogni 22 pazienti che trattano uno avrà la vita salvata proprio grazie alla strategia che abbiamo studiato nel FIRE”.